Sweet Sweetback’s
Baadasssss Song
Dedicated to all the Brothers and Sisters who have had enough of the Man
“Chi fa da se fa per tre” dice il saggio, roba da poco però, se la confrontiamo con quanto Melvin Van Peeble fece con “Sweet Sweetback’s Baadasssss Song”.
Van Peeble nel 1971 scrive, dirige, produce, interpreta, fa la controfigura di se stesso, compone la colonna sonora e quando non può farne a meno usa anche i propri figli, per creare questa pellicola. Un film fondamentale, un’opera che ha aperto la porta alla “blaxploitation”.
Senza nulla togliere ai successori e sapete quanto ci piaccia il genere, “Sweet Sweetback’s Baadasssss Song”, viaggia su canali diversi. L’intenzione è più intellettuale, più politica e non di rado trasmette messaggi forti che a volte però vengono sminuiti da incredibili banalità e da situazioni gratuite.
Anche con qualche sbavatura di troppo questo film resta un simbolo per la sua importanza storica e per essere riuscito a sensibilizzare la comunità di colore trovando addirittura l’appoggio delle “Black Panthers”.
Stilisticamente “Sweet Sweetback’s” con tutta la sua artigianalità è un piccolo gioiello di idee. Riprese veloci con camera a mano a volte troncate, frammentarie, immedesimano lo spettatore nella storia resa più forte e stravagante da una sorta di “coro greco” che funge da narratore. Quanto sia voluto o quanto non lo sia, non lo sapremo mai, ma sono evidenti anche i richiami alla “Novelle Vague”.
L’inizio su sequenze mute apre a due sovraimpressioni che lasciano intendere l’obiettivo nonché le idee del regista. Nella prima gli interpreti vengono accreditati con un cumulativo “La Comunità nera” e nell’altra la dedica è “To All Brothers And Sisters Who Had Enough of The Man” (“Ai fratelli e alle sorelle che ne hanno abbastanza dell’uomo”, frase che sottoindende il “bianco”).
La scintilla parte dall’idea di creare un film in cui un uomo di colore risultasse vincente e in seconda battuta anche dimostrare che un’opera indipendente potesse avere successo.
Obiettivi centrati, grazie innanzitutto a una storia che si basa su diritti negati. “Sweet” è un ragazzino (interpretato dal figlio di Van Peeble, Mario) che viene iniziato al sesso da una prostituta, la quale impressionata gli affibbia il soprannome.
Molti anni dopo “Sweet” è una sorta di artista che si esibisce in locali off dove soddisfa esclusivamente donne di colore, tra gli applausi della folla. Ma un giorno, portato via dalla polizia come sospetto, assiste durante al trasporto all’arresto di un “Black Panthers” e mentre questo viene maltrattato e malmenato, con un bel paragone con un luna park evidenziato su pellicola in negativo, “Sweet” coglie l’attimo, fa fuggire il ragazzo e si vendica dei poliziotti.
Da qui in poi parte la caccia all’uomo. Da un lato la polizia che con metodi violenti cerca informazioni e dall’altro la fuga di “Sweet” non sempre però aiutato dalla comunità di colore. In queste avventure da moderno picaresco, ci finiscono anche gli “Hell’s Angels” e il caldo deserto californiano epilogo del film, ma non della storia.
Tutto fila e il patimento è palpabile. Sarebbe tutto perfetto se Van Peeble non avesse esagerato col machismo, descrivendo il suo personaggio come uno “stallone” che fa sesso senza mai deludere, rischiando di far diventare “Sweet” una macchietta.
Apprezzato dalla critica, adorato dal pubblico, il film fu un successo che portò quindi Van Peeble a centrare anche il suo secondo obiettivo.
Un film così casalingo e avventuroso ha necessariamente una serie infinita di curiosità a partire dalla pre-produzione. L’idea arrivò dopo l’insuccesso di un film di Van Peeble “Watermelon Man” girato per la “Columbia Pictures”. Il regista sotto contratto con la casa di produzione iniziò piano piano a pensare alla storia, decidendo di fare tutto da solo, controllando senza ma e senza se la sua opera. Alla produzione partecipò, in un certo senso, anche Bill Cosby che prestò a Van Peeble cinquantamila dollari. Non volle altro, ma solo indietro la propria cifra. “Sweet” fu girato in diciannove giorni, utilizzando attori non professionisti. A partire dal figlio dello stesso regista, Mario che interpreta “Sweet” da ragazzino nell’atto di iniziazione (ovviamente finto). Mario poi ha seguito le orme del padre diventando a sua volta regista e realizzando un documentario di successo sulla produzione e realizzazione del film.
Viste le scene di sesso Melvin Van Peeble si beccò la gonorrea chiedendo poi un risarcimento, per malattia contratta sul lavoro, i soldi ricevuti li riutilizzò per la sua opera. La troupe era costretta a girare le scene armata per non rischiare di incorrere in brutte situazioni. Una delle armi, quella del regista, venne sottratta e messa con quelle finte, la cosa generò una notevole preoccupazione nella scena in cui la polizia spara vicino alle orecchie di Beetle, un presunto testimone. C’era il rischio che si usasse la pistola vera.
Non male anche l’aneddoto che narra che durante la scena con gli “Hell’s Angels” un motociclista voleva abbandonare il set. Redarguito da Van Peeble, tirò fuori un coltello con il quale iniziò, provocatoriamente, a limarsi le unghie. Van Peeble invece schioccò le dita e fece arrivare diversi “fratelli” armati. Il motociclista rimase.
Parte del commento sonoro è stato scritto dal regista stesso, assolutamente lontano da essere un musicista, alle sue produzioni si aggiungono poi quelle più professionali degli “Earth Wind & Fire”.
Tralasciando il fatto che i cani morti visti nel film potrebbero essere veri, dobbiamo dire che “Sweet Sweetback’s Baadasssss Song” è un capolavoro assolutamente imperdibile.
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