Dead Sushi
I Want to slice those monsters and make sushi just once more
In fin dei conti il sushi che cosa è? Pesce crudo e riso. Se si vuole, si aggiungono un po’ di soia e un po’ di wasabi. Tutto lì, facile non vi pare? Facile quasi quanto fare un film splatter, perché basta un mostro, esseri umani fatti a pezzi e litri di sangue.
Eppure come direbbero i saggi, le cose più facili sono anche le più difficili e quindi ci vuole arte, sia per fare, ma anche per mangiare, il sushi e ci vuole arte, a scrivere e a realizzare un film splatter.
In “Dead Sushi” mischia diversi ingredienti forti, in una maniera estremamente equilibrata. Demenzialità, splatter e un vago erotismo, amalgamati in un modo nel quale nessuno prende il sopravvento. Una regia velocissima dalle visioni distorte con effetti speciali che mischiano i più rudimentali oggetti mossi da un filo e il digitale, sono gli altri sapori che completato questa pellicola. Tema centrale è, come suggerisce il titolo, il sushi, che non è l’obiettivo della satira del film, ma è il mezzo che Iguchi usa per criticare i rituali e i finti esperti culinari. E visto il soggetto del film, ci troviamo, per una volta, con una pellicola che può essere seguita da tutti, anche dai non giapponesi e senza ricerche sugli usi e sui costumi del sol levante.
Tra corpi fatti a pezzi e il classico sangue zampillante “Dead Sushi” riesce a far ridere spesso e di gusto, con il sushi uovo, ed esempio, esserino che essendo diverso è emarginato e deriso dagli altri o con l’ex chef, maestro di sushi, che a causa incidente in cucina, ha la fobia dei coltelli e smette di fare lo chef per diventare giardiniere. Il tutto poi finisce nel delirante mostro a forma di tonno. Bruttissimo, paradossale e quindi perfetto!
Ambientato in pochissimi luoghi “Dead Sushi”, racconta la storia di Keiko, interpretata dalla giovanissima Rina Takeda, attrice ed esperta di arti marziali, che qui è la figlia di un grande maestro di sushi che cerca con scarsi risultati (secondo lui) di insegnarle la nobile arte di fare il piatto.
Keiko scappa, trova lavoro presso un hotel nel quale è sbeffeggiata dai proprietari, dai colleghi e anche dai clienti di una ditta farmaceutica arrivati lì per una convention. Nel posto, oltre ad esserci un sedicente maestro sushi con il quale Keiko lotta, scatenando anche la violenza dei dipendenti della casa farmaceutica, ci sono pure un ex noto chef ora giardiniere e soprattutto un ex dipendente e ricercatore della ditta cacciato a malo modo. Quest’ultimo è l’inventore di un siero capace di resuscitare i morti e in cerca di vendetta e lo inietta nel sushi. Così calamari volanti, sushi assassini, iniziano a fare una carneficina di tutti i presenti nell’hotel e Keiko aiutata da “Eggy” (il sushi di uovo che dicevamo prima), combatte contro quest’orda di pesci crudi arrabbiati, fino ad arrivare allo scontro finale con il tonno.
Niente da dire è un bel capitolo dell’epopea splatter/zombie, che si sposta sul sushi (un’idea non nuova comunque) e che ci convince a prendere la tempura alla prossima cena giapponese.
Social Profiles