Django
-Il film comincia con un uomo che si trascina nel fango, trascinandosi appresso una bara
-bello come inizio!
-Sì sì infatti
-E poi?
-E poi…non lo so…pensaci te, io non ho la minima idea
(Dialogo tra Piero Vivarelli e Sergio Corbucci, riportato in un’intervista a Vivarelli per il TG1)
Un uomo, una bara. E il resto chissà. Sergio Corbucci e Piero Vivarelli partono così per un viaggio cinematografico che li conduce semplicemente a un capolavoro, una pietra miliare, dello “spaghetti western”.
Su “Django” si è detto e si può dire di tutto e hanno ragione anche i detrattori, che sottolineano l’eccessiva fama di un film che se analizzato in ogni singola parte ha i suoi buoni difetti: una storia non originalissima, dei personaggi poco approfonditi e una recitazione gelida.
Secondo noi però, un film va visto nel suo insieme e in questo caso, tutti gli elementi, per scarni (o poveri) che siano, girano dannatamente bene insieme, creando una magia, che fa si che questo “Django” sia un film fondamentale.
La fama universale di quest’opera del 1966, ci fa risparmiare righe sul fatto che sia uno dei “cult” di Tarantino, (cosa che sanno anche le lapidi del cimitero di Tombstone), che abbia generato infiniti epigoni, un sequel non proprio riuscito e pure l’omaggio di Miike Takashi, il grande regista giapponese, che nel 2007 realizza “Sukiyaki Western Django”.
Django da Django Reinhardt celebre chitarrista jazz, ci appare con la famosa e già citata scena, in un inizio geniale idea vicente del film, che apre a una storia violenta (una delle più sanguinose del genere all’epoca) con diversi capovolgimenti di fronte. Corbucci è bravissimo a raccontarla, alternando momenti lenti a momenti veloci, con riprese suggestive (vedi la rissa nel saloon) capaci di rendere l’azione. A differenza di quanto l’icona del genere vorrebbe, Corbucci si diverte a cambiare radicalmente l’immagine di luogo polveroso, solare, che il western ha sempre utilizzato, sostituendola con un ambiente livido e fangoso che accresce il fascino ma anche l’inquietudine della storia.
Il protagonista che è interpretato da Franco Nero, che con questo film raggiunge la notorietà mondiale, si muove glaciale, enigmatico, in cerca di vendetta per l’assassinio della moglie.
Il suo nemico nonchè colpevole dell’omicidio si chiama Jackson, capo di un gruppo di razzisti, trucidati poi dal buon Django con il potente contenuto della bara. Ma la sua sete di vendetta di certo non è appagata e il nostro eroe convince anche il Generale Rodriguez guida di un esercito irregolare messicano ad attaccare il fortino di Jackson, dove è nascosto dell’oro. A seguito missione compiuta il messicano si rifiuta di dare a Django quanto pattuito e si scatena un’altra vendetta, che porta al tragico e liberatorio finale eroico. Freddo quanto vogliamo, cattivo al punto giusto, il protagonista è anche un uomo di cuore, che salva una prostituta dalla morte e che da tutto quello che ha per il suo piano.
Sergio Corbucci una sorta di “anti” Leone, mette a segno dunque un film artigianale che cambia le regole del gioco e che ottenne subito un grandissimo successo commerciale e di critica.
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