Arrapaho
-Dimmi Capo di Bomba, a chi vuoi più bene, a papà, o a mammà?
-A Pippo Baudo
-Vaffanculo
In tutti questi anni di attività, abbiamo evitato in tutti i modi di parlare di questo film. Non per un senso di superiorità, anzi, il contrario, perché parlare di “Arrapaho”, è parlare di un qualcosa conosciuto da tutti, su cui non c’è nulla da aggiungere. Se poi guardiamo e leggiamo gli speciali di “Stracult” e di “Nocturno”, si può dire che “Arrapaho” sia stato declinato e omaggiato in tutti i modi possibili.
Solo che poi un giorno inizia una discussione con gli amici, si cita il tormentone “Ciao…comprati Arrapaho” si aggiunge la versione bootleg (Ciao…comprati Arrapaho/con la maglia di Falcao e le scarpe ricoperte di cacao) che girava da queste parti, si ricordano le battute, fino ad arrivare al capolavoro immortale “Dimmi Capo di Bomba tu vuoi più bene alla mamma o al papà? A Pippo Baudo”.
E poi un pensiero va a Urs Althaus che nonostante un veloce passaggio nel mondo del cinema è entrato nella storia grazie a due film (uno è questo e l’altro è…beh lo sapete). E un altro pensiero va a Tinì Cansino, che qui ci appare nuda sotto una cascata sulle note di “O Tiempo se ne va” e proprio sulla frase “puttana comm’a ttè”, lei che fatto impazzire con il suo personaggio di oca provocante tutta la TV italiana degli anni ottanta.
Quindi alla fine ne parliamo. Non una recensione ma un omaggio a un film terribile entrato incredibilmente nella storia, che ha incassato sempre incredibilmente tantissimo. A differenza di quanto si possa immaginare “Arrapaho” è stato un capitolo che la stampa ha (quasi) sempre capito da subito. A parte Morandini che lo definì “il peggior film italiano della storia”, molti altri hanno intuito la voglia di far schifo a tutti i costi. Roberto Poppi scrisse “Capolavoro assoluto del cinema trash. Il più puzzolente immondezzaio è al confronto un giardino fiorito (…)Tutto è goliardico, malfatto, approssimativo e tirato giù (si usa ad esempio la presa diretta per risparmiare sui costi del doppiaggio) senza la minima pretesa e forse proprio per questo alla fine non risulta troppo antipatico”. Ribatte sulla stessa lunghezza d’onda “La Stampa” che poi pubblica una classifica dei film più visti a Torino. E a metà settembre “Arrapaho” era al quarto posto.
Cosa ci sia di magnetico in un film oggettivamente orrendo è allo stesso tempo difficile da dire e dannatamente banale. E per capirlo bisogna riguardare per l’ennesima volta il tutto.
Un senso di fastidio che ci pervade fin dall’inizio fa compagnia a un sentimento di libertà assoluta, di spensieratezza. Come quei discorsi tra amici dello stesso sesso, come chiacchierare da ubriachi o dopo aver fumato qualcosa. Frasi senza senso, risate ignoranti, ogni due minuti. Perché non c’è un solo frammento di “Arrapaho” che si possa prendere sul serio o che voglia far ridere in maniera, per così dire, professionale.
Quel vecchio geniaccio di Ciro Ippolito, riporta “Nocturno”, vede “The Meaning of life” dei Monty Python e vuole seguire la scia. Ma all’italiana. Molto all’italiana. Poi ci sono gli Squallor, un gruppo di musica demenziale che passa alla storia più per le scelte stilistiche che per bravura o acume, che avevano pubblicato nel 1983 l’album “Arrapaho”.
E Ippolito prende tutto, lo mischia e lo butta alla rinfusa in un paio di campi romani, dove gira in quindici giorni e con un cast quasi del tutto amatoriale, questa perla italica.
Un western demenziale si potrebbe dire, perché ci sono gli indiani. Che però parlano napoletano e usano oggetti non esistenti all’epoca. Una storia d’amore e di lotte tribali, potremmo dire. Che però non hanno né capo né coda. Quindi, più semplicemente un film che si e ci prende in giro dall’inizio alla fine.
Momenti trash a non finire e battute che sono diventate dei tormentoni che alcuni ricordano ancora oggi. Scella Pezzata, Capo di Bomba, i Froceyenne e frasi come “Questa faccia di cazzo che vedete con un fucile minimo in mano che guarda questa valle desolata, è un profugo militare indiano”, oppure “Ma perché no Cavallo Pazzo?” “Perché mi ha rotto ‘u cazzo”, “Il mio amore, la bella Scella Pezzata, dallo sguardo di troia e dai capelli di puttana, è ancora lontana da me”.
Ma il genio non si limita a questa accozzaglia di cose. Poiché il minutaggio era scarso Ippolito inserisce finti spot e siparietti e chiude col coro dell’Aida (e “Aida” era anche la canzone di apertura del disco).
L’apoteosi del cattivo gusto insomma, con continui riferimenti al sesso, alla merda, con molta omofobia e misoginia. Il narratore che ride, scene rifatte, battute sbagliate e una storia inesistente. Questo è il più grande “scult” di tutti i tempi.
Quelle storie incredibili e a lieto fine, perché nessuno voleva distribuire “Arrapaho” e allora ci pensa Ippolito che produce e distribuisce e si ritrova pure a portare le pizze da una città all’altra quando di colpo il suo film diventa richiestissimo.
Comunque per i pochi che non l’avessero visto (molto male) il velo di storia ci racconta di Scella Pezzata (Tinì Cansino), figlia del capo tribù dei Cefaloni Palla Pesante. Promessa sposa di Cavallo Pazzo, ma lei ama Arrapaho (Urs Althaus) che a sua volta è amato da Luna Caprese della tribù dei Froceyenne. Cavallo Pazzo rapisce Arrapaho ma l’intervento dei Froceyenne rimette le cose a posto.
Scheda Tecnica
Titolo Originale: Arrapaho
Anno: 1984
Nazione: Italia
Regia: Ciro Ippolito
Cast: Gli Squallor, Urs Altahus, Tinì Cansino, Armando Marra, Benetto Casillo, Donato Rutigliano
Casa di produzione: Lux International
Durata: 76’
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