Hollywood

Hollywood

What if you could rewrite the story?

Quante volte abbiamo pensato a come la nostra vita sarebbe cambiata se avessimo fatto una determinata scelta? E quante volte il gioco di pensare a una strada alternativa si è spostato sulla storia dell’umanità? Non so voi, ma io ci penso quasi quotidianamente.
E anche in “Hollywood”, Serie TV di Netflix creata dal prolifico Ryan Murphy con Ian Brennan, la questione di un mondo diverso assume un ruolo centrale, e o fa, come titolo ci dice, in quel di Hollywood. Nel 1949.
Torna dunque il cinema come mezzo di liberazione ed emancipazione, questa volta in una comedy, che segue in tutto per tutto lo stile dei vecchi film di Hollywood, dove tutto si incastra alla perfezione e c’è l’immancabile happy ending.

Murphy, mischia situazioni e personaggi reali con la finzione, per portarci a una situazione finale che ribalta la realtà e ci mostra un mondo (che sarebbe) migliore, senza ipocrisie, senza paure. Un mondo più giusto, equilibrato.
Hollywood e i suoi vizi, le realtà scomode, quelle nascoste, quelle dietro la facciata del sogno americano e del perbenismo. Situazioni che non si limitano a quei tempi ma hanno (e probabilmente lo fanno ancora in qualche modo anche dopo il caso Weinstein) abbracciato tutta la storia del patinato mondo delle star.
Dietro il sogno, la cruda realtà e non a caso, questa serie ci racconta la produzione di un film intitolato “Peg” che narra la storia di Peg Entwistle l’attrice che si suicidò lanciandosi dalla famosa scritta.
“Peg”, si trasforma col tempo in “Meg”, una storia che racconta dei sogni quasi infranti di un’attrice di colore, interpretata da Laura Harrier. Non solo pari opportunità e razzismo, perché il tutto si accompagna al personaggio di Rock Hudson, figura centrale, ma non protagonista, che dichiara la sua omosessualità, innamorandosi tra l’altro del fittizio autore di colore di “Meg”, Archie Coleman (Jeremy Pope).
Hudson, come sappiamo, è probabilmente il caso più eclatante dell’ipocrisia di Hollywood. Il bell’attore che nascose in vari modi la sua omosessualità durante una carriera ricca di successi e riconoscimenti, prima di scioccare il mondo negli anni ottanta con la sua positività all’HIV e morire di AIDS nel 1985.

“Meg” diventa così un film che travolge lo status quo e la “ACE Studio” la casa che lo produce è guidata da una donna ebrea, Avis Amberg (Patty LuPone), che ha vissuto una vita nell’ombra del marito.
Boicottaggi, razzismo, proteste non bloccano la produzione del film, che diventa un grande successo e trionfa con i suoi interpreti agli Academy Awards. Un trionfo che restituisce ad Anna May Wong, un altro caso reale, il giusto ruolo nella storia. Un’attrice bravissima che è stata ingiustamente relegata a caratterista in ruoli stereotipati da asiatica.
C’è anche Henry Wilson (interpretato da un ottimo Jim Parson, cioè Sheldon di “Big Bang Theory”) che fu realmente un potente e controverso manager delle star (inventò la figura di Hudson) che qui cerca di cambiare, al contrario della realtà che l’ha visto protagonista di una vita finita in malora.
A margine e come alleggerimento delle situazioni troviamo la vita di Jack Castello, ragazzotto di provincia che arriva a Hollywood in cerca di gloria e che inizia facendo il gigolò a una stazione di servizio (altra storia vera, quella della stazione di servizio), prima di trasformarsi da pessimo attore a ottimo interprete e diventare il protagonista maschile di “Meg” e trovare l’amore della vita.

“Hollywood” ha l’estetica che ci immaginiamo avesse quel periodo. Una serie elegante che cura ogni particolare rendendola piacevolissima da vedere. Un cast adeguato alle circostanze con interpreti che spesso in passato hanno lavorato con Murphy, come Darren Criss, il grandioso Andrew Cunanan, della seconda stagione di “American Crime Story”, che qui interpreta il regista di “Meg”.
Certo, non è sempre facile cogliere i riferimenti alla realtà, i tanti personaggi dell’epoca (Cuckor, Vivien Leigh e pure Lon Chaney, tra i tanti) mischiati alla finzione, ogni tanto creano un po’ di confusione. Ma questa non è una serie biografica e non lo vuole assolutamente essere. Ed è un peccato che alcuni non l’abbiano capito, visto che qualche critica che ho letto, si lamenta proprio del fatto che la storia sia inventata.
Critiche, va detto, discordanti, ma io mi chiedo: ma quando guardate un film, non entrate in un mondo che è un sogno? E che vi costa sognare un mondo migliore con “Hollywood”?

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