Squid Game

Squid Game

Non ci si fida delle persone perché se lo meritano. Lo si fa perché non hai altri su cui contare.

La sorpresa che non ti aspetti. Il colpo di scena che ribalta le attese. Non sto parlando della trama, ma del senso e dell’impatto di questa serie di Netflix che inaspettatamente è diventata un caso mondiale e “rischia” di essere la serie più vista di tutti i tempi di Netflix.

Per quanto alla regia ci sia Hwang Dong-hyuk, che non è di certo l’ultimo arrivato, ben pochi scommettevano su questo lavoro. A cominciare da diversi produttori, perché il regista coreano ha iniziato a lavorarci diversi anni fa, in prima battuta come film e poi sviluppando l’idea di una serie, che nessuno voleva produrre.
Poi è arrivata Netflix e per qualche ragione che in parte mi sfugge, “Squid Game” non solo ha avuto successo in Asia, ma anche nel resto del mondo. Tanto che ci si aspetta che a Halloween molti indossino costumi ispirati alla serie (se avete la tuta rossa de “La casa di carta” vi basta cambiare maschera) e ci si aspetta una seconda serie, che al momento è più che mai lontana dall’essere anche solo scritta. Un caso mondiale che ha aperto anche un contenzioso sulla tassazione del traffico dati, che Netflix si rifiuta di pagare al gestore della rete locale. Un caso mondiale che ha creato non pochi problemi alla proprietaria di un numero di cellulare che si vede nella serie.
Mi sfugge, dicevo, almeno in parte il motivo di questo successo. “Squid Game” è una storia distopica profondamente coreana. Continui rimandi e critiche alla cultura e alla società di un paese che è stato un modello di sviluppo ed efficienza, ma che come spiega benissimo la serie, (così dice chi conosce la realtà del paese) ora è un posto piuttosto complesso e difficile sotto tantissimi aspetti. Debito. Lavoro. Aspettative dei giovani.
Una cosa quanto più lontana e incomprensibile per noi. Una serie che poi prende, con piccole differenze, dai manga giapponesi, ai quali il regista ha dichiarato di essersi ispirato e soprattutto quell’onda di giochi mortali che vanno da “Battle Royale” a “Alice in Borderland” passando per “Hunger Games”. Niente di nuovo. Perdi e muori.
Da un altro lato è facile invece capire quello che conquista. E che mi ha conquistato. Innanzitutto Hwang Dong-hyuk dirige il tutto con grande capacità sia narrativa sia tecnica. Un’eleganza e perfezione millimetrica che sfrutta in maniera eccezionale diverse semplici cose a cominciare da un normale teatro di posa che diventa un affascinante spazio dei giochi.

Bello da vedere, veloce e intrigante nello sviluppo, con espediente infiltrato per farci vedere il dietro le quinte, “Squid Game” raggiunge momenti di tensione, di esplicita violenza e di cattiverie umane sensazionali. I personaggi della serie, nessuno escluso, hanno una trasformazione radicale puntata dopo puntata, uno stravolgimento che, per quanto mi riguarda, mi ha portato a non affezionarmi a nessuno di loro, o meglio, a tutti quanti.
E infine, il regista coreano mette come sfondo dei giochi da bambini in versione mortale, (all’inzio mi pareva di essere in “Takeshi’s Castle” con sangue) che ci permettono di concentrarci più sui personaggi che sugli stessi giochi.

Ora la domanda da farsi è “cosa sei disposto a fare per portarti a casa 45 miliardi di Won?” (cioè 32 milioni di euro). Questa è la questione di base che coinvolge 456 persone che partecipano a questo gioco alla morte. Loro, sono tutti dei disadattati ai margini della società, sui quali oltre a una serie infinita di problemi pendono immensi debiti. Raccattati da uno sconosciuto per strada che li invita a partecipare, si trovano proiettati in un posto misterioso, dove sotto l’attenta sorveglianza di misteriosi tizi in tuta rossa e maschera con quadrato, cerchio o triangolo, si devono sottoporre a sei semplici giochi. Chi sopravvive si porta a casa il montepremi.
Da “Un, due tre…stella” passando per le biglie, il tiro alla fune e altri giochi, chi sbaglia muore e viene eliminato non solo dal gioco. Ma come dicevo, per andare avanti devi essere disposto a cambiare il tuo io, a stravolgere le tue idee. Ne vale la pena? Difficile da dire, di certo vale la pena guardare questa sorprendente serie, per quanto lontana dalla nostra cultura.


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