The Rain
seconda stagione
Il primo che lo troverà e lo porterà da noi, sarà anche il primo che potrà abbandonare la zona
È che uno si aspetta che le cose prendano una certa piega o che si continui con la linea della prima serie. Ma per fortuna nei primi minuti della prima puntata, la seconda stagione di “The Rain”, ci dà una serie di colpi di scena, inaspettati e avvincenti. Un gran bell’inizio. Bravi, bravissimi. Sono però gli unici minuti degni di una stagione per nulla interessante. Se già nella prima serie, puntata dopo puntata, “The Rain” perdeva mordente, qui è una discesa nell’oblio interminabile che inizia dopo i già citati colpi di scena e quindi dal quinto minuto della prima serie.
Non è ben chiaro cosa Jannik Tai Mosholt, Christian Potalivo ed Esben Toft Jacobsen, vogliano raccontarci. Gente che scappa, che litiga, si riappacifica, vive in bunker o laboratori e cattivi che appaiono e scompaiono senza un motivo e soprattutto senza dirci che obiettivi hanno (a parte una piccola rivelazione nell’ultima puntata). Personaggi inutili e misteriosi senza un perché e un suicidio senza alcun senso. E poi, come già visto nella prima serie, una vena di romanticismo adolescenziale che prende il sopravvento sulle vicende legate a questa apocalisse. Apocalisse, che, per la cronaca, lascia la pioggia per concentrarsi su un virus che affonda le sue radici nella terra e che ha nel paziente zero, una speranza di salvezza. Mostro/virus radicato nella terra e paziente zero, più che brillanti idee sembrano citazioni di altri brillanti serie, una della quali incentrata su un gruppo di giovanissimi (è inutile che facciamo i nomi no?).
“The Rain” dunque spreca quanto di buono visto nella prima parte della prima stagione e lo fa in sei puntate (due in meno rispetto alla prima serie), di lunghezza variabile in cui più che la pioggia c’è la nebbia, nelle idee degli sceneggiatori. Da salvare gli effetti speciali e le ricostruzioni dei luoghi colpiti dall’apocalisse. Ma niente altro.
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